... il fondamento per determinare il valore del
lavoro umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il
fatto che colui che lo esegue è una persona. Le fonti della dignità del lavoro
si devono cercare soprattutto non nella sua dimensione oggettiva, ma nella sua
dimensione soggettiva.In una tale
concezione sparisce quasi il fondamento stesso dell'antica differenziazione
degli uomini in ceti, a seconda del genere di lavoro da essi eseguito. Ciò non
vuol dire che il lavoro umano, dal punto di vista oggettivo, non possa e non
debba essere in alcun modo valorizzato e qualificato. Ciò vuol dire solamente
che il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso,il suo
soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura
etica: per quanto sia una verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al
lavoro, però prima di tutto il lavoro è «per l'uomo», e non l'uomo «per il
lavoro». Con questa conclusione si arriva giustamente a riconoscere la
preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo. Dato
questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini
possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di
porre in evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro
della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell'uomo
che lo compie. A sua volta: indipendentemente dal lavoro che ogni uomo
compie, e supponendo che esso costituisca uno scopo - alle volte molto
impegnativo - del suo operare, questo scopo non possiede un significato
definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di
qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più «di servizio»,
più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più
emarginante - rimane sempre l'uomo stesso.(Giovanni Paolo II -Laborem exercens)
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